19 Nov Penelope era resiliente e non lo sapeva
Mio padre la chiamava forza d’animo. E mi dava anche le istruzioni per l’uso per diventare resiliente. Quando mi avvilivo mi esortava a non abbattermi e a rialzarmi. Oppure mi diceva che le avversità della vita temprano il carattere, lo rafforzano. Mio padre la chiamava forza d’animo. E mi dava anche le istruzioni per l’uso per diventare resiliente. Se voleva spronarmi, da vecchio latinista, aggiungeva: ” Hic Rhodus, hic salta”: fai vedere quello che sei realmente capace di fare (e lì nascevano i problemi). Parlava di resilienza e non lo sapeva.
Oggi è una parola sempre più usata e ricorrente per interpretare e spiegare comportamenti e stili di vita. Cos’è la resilienza? Condivide con lo stress una provenienza di natura tecnico specialistica: il termine deriva infatti dall’ingegneria. È la capacità di fronteggiare con efficacia gli eventi critici e avversi, e la forza non solo di resistere, non solo di rispondere alle avversità, ma di adattarsi costruttivamente e positivamente di fronte alle difficoltà. Io direi che è una ripartenza secondo il linguaggio calcistico, un rimbalzo psicologico secondo l’etimologia, consente “le risalite dopo le discese ardite” secondo la metafora di Lucio Battisti. Fa dire all’inventore della lampadina Thomas Edison, dopo tanti insuccessi nella ricerca del filamento che consentisse l’accensione, di aver trovato 2500 materiali non funzionanti.
Mi consento qui due osservazioni. La prima, di carattere generale, nominalistica, quasi filosofica: sembra che dobbiamo ricorrere a parole nuove per dare rilievo alle esperienze personali, per dare un significato a fatti e fenomeni sociali. È come un pensiero magico e rassicurante: comportamenti e situazioni di vita che esistono da sempre hanno bisogno di essere nominati, di avere un nuovo nome per riscuotere più considerazione e attenzione (il logos: la parola che crea e vitalizza). Ma, pensiamoci un attimo: la spending review non esisteva già? L’attenzione alle spese, il risparmio, la parsimonia, il rinunciare al superfluo, attenzione al bilancio costi benefici non vivevano precedentemente? Avevano bisogno di diversa dignità e legittimazione attraverso una nuova definizione (in inglese)?
La seconda osservazione, più importante, è relativa all’instaurarsi di un nuovo significato che porta a focalizzare studi e ricerche sulle risorse dell’individuo, sulle sue disponibilità latenti e a costruire ed elaborare metodologie per svilupparle. Nelle Humanities, nelle scienze umane sociali il concetto di resilienza è nato di recente. È un’area di studio che si è spostata dall’infanzia e dall’adolescenza all’età adulta e al contesto lavorativo. La psicologia umanistica, la psicologia positiva e la psicologia di comunità, pur nella diversità di strategie d’intervento e modalità operative, condividono l’attenzione alle potenzialità dell’individuo, alle sue relazioni interpersonali e ai contesti di vita. Condividono anche i fattori individuali che promuovono comportamenti competenti, e facilitano lo sviluppo della resilienza: il locus of control interno, la self efficacy, l’empowerment, la proattività, le strategie di coping, la costruzione di una rete sociale di supporto, la gestione dei pensieri. Ed elemento alla base di tutti gli altri: la consapevolezza.
Penelope, per esempio, non si arrende di fronte alle difficoltà, ha la capacità di porsi degli obiettivi e di trovare strategie adeguate per raggiungerli, non si pone da vittima che subisce ma agisce, sa farsi sostenere dal gruppo di riferimento, sa interagire politicamente con chi ha invaso la sua casa, è consapevole di vivere una situazione contraddittoria e accetta vivere in questa incoerenza, è disposta a ricominciare tutti giorni come se fosse la prima volta, sa difendere con tenacia e forza la su azione… Anche Penelope era resiliente, ma ne era consapevole?
Francesco Tulli
Sorry, the comment form is closed at this time.