Le favole ci possono aiutare

Non sono passati tanti giorni da quando ci siamo scambiati auguri. E abbiamo usato un linguaggio fatto di superlativi: ti auguro un anno pieno di successi, ti faccio mille auguri, spero che tu possa realizzare ogni tuo sogno, sono sicuro che i tuoi proponimenti diventeranno realtà, e così via.

Ma poi la festa è finita, il tempo dato per uscire dalla realtà è terminato. Abbiamo di fronte la quotidianità, siamo rientrati nel mondo abituale. Come succede a settembre al ritorno delle vacanze, dove il confronto tra relax e la realtà si fa più acuto: una distanza incolmabile tra quello che ci siamo augurati e la vita di tutti giorni.

Consapevoli di questo fenomeno, avevamo provato a dare qualche suggerimento per contribuire a realizzare progetti, desideri, speranze. Il tentativo era di utilizzare un antidoto a questa sorta di sindrome di Cenerentola.

Sì quella di Cenerentola è la favola che, più delle altre, dà il senso del ritorno alla normalità: non c’è più la carrozza, il vestito si è macchiato, le sorellastre sono sempre le stesse e l’ufficio forse non è impolverato ma le mail si sono accumulate e le pratiche sono sempre quelle.

E soprattutto ritroviamo le stesse paure: il futuro, la mancanza di lavoro, i problemi economici, la paura di non farcela, di non essere in grado di rispondere alle richieste degli altri, di rimanere soli. E poi le nuove paure che si sono manifestate con la strage di Parigi, che ci mettono in rapporto con la nostra stanchezza e quella dell’occidente.

Come nella favola di Cenerentola, tutto rischia di diventare come prima. E dopo mezzanotte finisce la magia. Soprattutto perché non abbiamo il suo piede, di principi nemmeno l’ombra e la fata Smemorina non appare all’orizzonte.

Poi con il tempo le cose ricominciano a funzionare, si riaggiustano, ci si riabitua alla fatica di vivere e la fatica dopo un po’ diventa sopportabile. Quindi ci servono altre favole per rendere la fatica più sopportabile. Se non riusciremo ad essere tutti felici e contenti, almeno qualche risultato si può ottenere. Ed è proprio per il contenuto di resilienza che le favole ci offrono. Perché resistere, rialzarsi è la nostra vera risorsa.

Adottiamo una favola

Le fiabe non sono solo storie da raccontare ai bambini: sono elaborati molto più complessi che hanno profonde radici storiche, religiose, culturali. Non voglio parlare delle funzioni psicologiche, sociali o catartiche delle favole né evidenziare gli elementi, i significati nascosti che stanno dietro alla loro struttura e che servono a contribuire alla crescita psicologica. Ma non voglio neanche ricorrere alle interpretazioni di Jung o di Bettelheim: sessualità, invidia, depressione, latenza sessuale. Voglio rimanere in superficie, il luogo dove si presenta e accade la realtà, dove noi appariamo agli altri e gli altri appaiono a noi. E dove più evidenti appaiono certe simbolizzazioni.

E allora, quale favola potremmo adottare ogni volta che nella nostra quotidianità, negli ambienti di vita e in quelli di lavoro, i problemi ci appaiono come orchi, matrigne o fate malvagie? Per rintracciare senso, significato, resistere o rialzarci… potremmo adottare:

  • la favola della Bella Addormentata: il risveglio generato dagli incontri e dalle esperienze.
  • la favola del Brutto Anatroccolo: la rivoluzione che comincia con la scoperta della propria natura e della propria bellezza.
  • la favola del Principe Ranocchio: la rinascita determinata dalla maturazione e dal mutamento.
  • la favola di Biancaneve: la rivelazione che nasce dall’osservare noi stessi e dallo specchiarci nella nostra coscienza.

Quale favola scegliere? Scopriamolo insieme…

Francesco Tulli

 

 

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