18 Nov Da questo momento potete accendere il vostro cellulare
Perché siamo così obbedienti quando squilla il cellulare o sentiamo il pling della notifica di un messaggio o di una email?
Il messaggio proseguiva con … “rimanendo comunque seduti con le cinture allacciate”.
Una frazione di secondo dopo questo annuncio una onda ha rivitalizzato l’aereo, una sorta di Ola calcistica. 150 passeggeri del volo Milano-Roma non hanno perso tempo, si sono piegati ed hanno raccattato dalla borsa o dalla tasca il loro dispositivo e l’hanno acceso. Ero nelle ultime file dell’aereo, insieme a poche altre persone – pochi intimi che come me non hanno la SkyPriority – ed ero affascinato dalla simultaneità delle azioni e dalla coordinazione dei movimenti. Dal fondo osservavo l’armonia e l’abilità del gesto: la piegatura delle persone sembrava un passaggio della ginnastica artistica o meglio la coreografia acquatica del nuoto sincronizzato. Un gesto naturale. Morbido perché naturale, disinvolto perché automatico, istintivo perché inconsapevole.
Ma l’annuncio recitava “potete”, non “dovete”.
Nessuno ha imposto di fare questo passaggio dal potere al dovere. Questo vuol dire forse che, nell’uso del cellulare, c’è una dimensione inconscia fatta di istinti e desideri sconosciuti alla mente razionale con cui dobbiamo fare i conti. Un inconscio digitale che orienta, anzi, muove i nostri comportamenti. E, se esiste, questo inconscio connettivo preme di più degli archetipi, delle forme e dei simboli dell’inconscio collettivo.
Alcune patologie da disconnessione balzate agli onori del DSM – 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) stanno lì a dimostrarlo: la Nomofobia (“No-mobile” fobia), la Fomo (Fear of missing out- la paura di essere tagliati fuori dai social network), la Ringxiety (sentire squilli anche se nessuno chiama).
Cosa ci sta succedendo?
E questa mia domanda non vuole essere un’altra, ulteriore riflessione sul web e sull’uso che se ne fa: “la rete ci rende stupidi, la rete ci rende intelligenti, ci stiamo avviando verso un nuovo rinascimento, stiamo perdendo la memoria di noi stessi e la nostra storia per affidarla ad un gadget elettronico.” Il mondo è ormai diviso tra apocalittici e integrati e due sociologi Derrick De Kerckhove e Nicholas Carr da anni si fronteggiano nel dimostrare tutto il bene del web e tutto il male del web.
A me interessa la risposta all’annuncio che recitava: “potete” non “dovete”. M’incuriosisce questa chiamata all’azione che rimanda a un tema molto ampio che va al di là del comunicato del volo di Milano: quello della dipendenza e della sottomissione. Della perdita di libertà.
Perché se sentiamo il pling della notifica, ci affanniamo a vedere di cosa si tratta e ci affrettiamo a rispondere? E ancora, da dove nasce l’ingiunzione che ci porta al checking habit, ovvero al controllo continuo e ossessivo nella ricerca di mail, notifiche, messaggi? Perché siamo così obbedienti?
Siamo dipendenti da chi amiamo, da chi abbiamo paura di perdere e strumentalmente dalle persone da cui vogliamo avere favori. Ma, perché siamo così assoggettati al web? La Loi Travail francese parla di diritto alla sconnessione così come quella in via di approvazione in Italia sullo smart working. Ma sono numerosi i casi di persone – nelle stesse aziende in cui è vietato inviare messaggi dopo l’orario d’ufficio – che continuano a scambiare messaggi, like, inviare tweet. Siamo diventati come Linus e la coperta: senza la connessione non sappiamo più vivere.
Una spiegazione viene dagli studi dei neuroscienziati che parlano di dipendenza neurale attivata dal nucleo accumbens: una piccola struttura del cervello limbico, il centro del piacere che trae gratificazione nell’ascoltare cinguettii, vibrazioni e squilli, nel controllare mail e nel dare risposta. Un sistema di neuroni che ci fa sentire appagati quando entriamo in rapporto con un qualcosa di nuovo, che ci fa sentire più vicini agli altri. In realtà sono solo sorsi di conversazione e assaggi di comunicazione che danno l’illusione di sostituire l’incontro con l’altro e il dialogo.
Ma credo che il tema sia decisamente più ampio: è quello della libertà. Libertà che – prima di diventare affermazione, cura, dedizione, testimonianza autentica di noi stessi “libertà di”– è appropriazione di sé, “libertà da”: dal mondo, dagli altri e dai nostri stessi limiti. E dall’uso del web quando è schiavitù.
Maledetto pling.
Francesco Tulli
Immagini nel post: Photo by Jim Reardan on Unsplash e Photo by Tim Gouw on Unsplash
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