15 Ott Cos’è e come nasce l’anomia
Letteralmente anomia vuol dire “assenza di norme” (dal greco “a-” (senza) e “nomos” (legge). Nelle scienze sociali questa parola esprime lo smarrimento che vive un individuo quando non si identifica più con un sistema sociale e non è in grado di immedesimarsi nei suoi simili.
La persona anomica, quindi, si sente estraniata dalla società in generale, incapace di comprendere i termini del conflitto e di impegnarsi per una sua risoluzione. I principali aspetti nell’atteggiamento anomico sono il disorientamento ideologico e il pessimismo sociale.
Il concetto di anomia è legato a tre grandi studiosi: Durkheim, Parsons e Merton.
Èmile Durkheim ha introdotto il termine anomia nel lessico sociologico. Nel suo libro La divisione del lavoro sociale (De la division du travail social, 1893), usa il termine per rappresentare la “deregolamentazione” che si manifesta all’interno di una società quando le regole generali si svuotano di efficacia e significato e le persone non sanno più cosa aspettarsi.
Talcott Parsons è stato un teorico dello struttural-funzionalismo: considerava la società come un equilibrio di forze interdipendenti in grado di produrre ordine. Quando l’organizzazione sociale mostra segni di disgregazione, si sviluppa anomia perché le diverse componenti della struttura giungono a una posizione di squilibrio.
Il sociologo funzionalista Robert K. Merton (pseudonimo di Meyer R. Scholnick Merton), conosciuto anche per aver creato espressioni come “profezia che si auto avvera”, “effetto san Matteo”, “serendipity”, “gruppo di appartenenza e gruppo di riferimento”, chiama anomia il diverso risalto, la discontinuità e la possibile contraddizione tra méte culturali e mezzi legittimi per raggiungere quelle stesse méte.
Gli studi di Merton e le sue riflessioni fanno riferimento al comportamento deviante e alla burocrazia, ma possono essere utilizzate per spiegare la perdita di punti di riferimento e il disorientamento degli individui nella nostra realtà sociale, e all’interno delle organizzazioni di lavoro.
L’approccio di Merton ci può aiutare soprattutto a capire il disagio vissuto da chi lavora nelle aziende e nelle diverse imprese, quando si trova ad osservare la mancanza di coerenza tra valori enunciati e comportamenti agiti, tra obiettivi e strumenti in aree di forte significatività per la vita organizzativa, quali: la comunicazione, la performance evaluation, la sicurezza sul lavoro, il valore del benessere organizzativo, la centralità della persona,…
Questa distanza tra méte e mezzi può portare a diversi tipi di risposta:
Condivisione: l’enfasi data ai valori e ai principi generali è in linea e congrua con i mezzi che la struttura organizzativa offre ai suoi partecipanti.
Smarrimento: valori e principi generali sono al centro dell’attenzione, ma non viene dato lo stesso risalto alle procedure e agli strumenti offerti per il loro raggiungimento. Nascono qui il disorientamento e l’incertezza.
Ritualismo: quando si rinuncia alle méte per ricorrere solo a mezzi il modo di adattamento non è generativo, ma solo adempitivo. La burocrazia può essere spiegata con un rispetto formale delle regole senza però guardare ai risultati.
Rinuncia: è l’atteggiamento di abbandono e di isolamento sociale perché non si crede più né alle méte, né ai mezzi proposti.
Ribellione: è il rifiuto di méte e mezzi e la proposta di altre méte e mezzi.
Tipi di risposta che, a ben guardare, possiamo riconoscere nella nostra esperienza, nella nostra vita di tutti i giorni.
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