27 Gen Conversazione impossibile con Pinocchio
di Francesco Tulli
Signor Pinocchio, quando ho chiesto di incontrarla non credevo di trovarla così alterato. Cosa le succede?
Mi sento utilizzato, sfruttato. Il mio riconoscimento non è dato dalla mia identità di burattino, non è determinato dal mio nome, ma dalla funzione che svolgo. Io vengo usato in diversi contesti: familiare, terapeutico, formativo. Si è persa la mia autenticità e sono citato per quello a cui servo e non per la mia utilità. Non mi sento considerato. Ha ragione Marx quando parla di valore d’uso e valore di scambio. Ecco, io sono usato e scambiato.
Vedo qualche confusione nella citazione di Marx… Questo suo malessere fa riferimento alla sua attitudine alla menzogna o ad altro?
Guardi, faccio finta di non accorgermi della sua allusione sessuale. Lei è come tutti gli altri intervistatori. Mi danno del bugiardo. Sì, sono continuamente utilizzato nei comizi, nelle piazze e nei talk show televisivi per etichettare, deridere, criticare, insultare quei politici che fanno false promesse. Vengo usato per una narrazione della menzogna come principio conoscitivo e come linguaggio. Io sono diventato solo una modalità per parlare al mondo e farsi capire dal mondo.
Ma non è vero. Si parla della sua storia come rappresentazione della stessa crescita dell’uomo.
È questo il fatto: non sono più un burattino, sono diventato una metafora. Ho perso la mia natura, non mi riconosco più, sono una estensione, una corrispondenza, una trasposizione di significato. Vorrei vedere lei
come si sentirebbe ad essere “in-piegato”. Sì, piegato ad altri usi. Sto perdendo il rapporto con me stesso. E guardi, sono tanto smarrito che forse preferisco essere preso ad esempio per insultare che essere adoperato nel mondo della terapia e della formazione.
Lo sa che cosa sono arrivati a dire? Dicono che il messaggio terapeutico nascosto nella favola attenua le resistenze e risulta meno minaccioso e provocatorio e quindi promuove cambiamenti evolutivi. Facilita la regressione al servizio dell’io e questa regressione dovrebbe spingere il soggetto a far emergere le risorse sopite. A non voler considerare poi tutti i significati che gli psicologi dell’ultima ora mi hanno attribuito: la relazione con il padre, l’aiuto materno, il rapporto con il grillo parlante,…!
Io non riesco a capire perché rifiuta questa dimensione di sviluppo: nei fatti la sua storia rappresenta un percorso individuale, la consapevolezza di sé e del rapporto con gli altri.
È questo il punto. Guardi che io vengo scomodato non solo a fini terapeutici. E se lei conosce il rapporto che ho avuto con la scuola pensi come posso star male quando vengo usato anche per obiettivi educativi, per stimolare la riflessione, per generare apprendimento, per migliorare le competenze.
Mi aiuti a capire meglio…
Senta cosa ho sentito in aula da un formatore: “La (mia) storia è rappresentativa del percorso evolutivo verso la collaborazione; indica il passaggio dalla dipendenza alla interdipendenza”. Provo a dirle cosa ho compreso: nella dipendenza ci si comporta secondo le aspettative dell’altro (la mia obbedienza); anche la contro-dipendenza è un rispecchiamento, ma i ‘sì’ vengono mascherati con i ‘no’ (la mia disobbedienza). L’indipendenza invece ha alla base una scelta chiara di distanza e di autosufficienza (il girovagare per parchi gioco con Lucignolo). Solo l’interdipendenza genera collaboratività. Solo l’interdipendenza si fonda sul riconoscimento dell’altro e, quindi, su una sana relazione. Questa è il percorso di mutamento e maturazione della persona. La dipendenza e la contro-dipendenza si fondano sul tu (ti prendi cura di me, non mi ha messo in condizioni di, dimmi quello che devo fare), l’indipendenza sull’io (con una esclusione del rapporto con gli altri). La interdipendenza si fonda sul noi: (noi facciamo, noi possiamo collaborare per raggiungere un fine comune). E sa cosa questo formatore ha aggiunto di fronte ad un uditorio smarrito ma affascinato? “Il ventre della balena non è altro che la forma di una nuova nascita in cui nei rapporti si riconoscono i propri diritti e quelli degli altri (il mio diverso ritrovarmi con Geppetto)”. Bàh…
Ma non riesco a capire proprio perché si lamenta. Lei è conosciuto, apprezzato in tutto il mondo. La sua storia finisce con un happy end esaltante e incoraggiante.
Lei proprio non ha capito. Io non rappresento più una morale, un significato. Vengo utilizzato a fini produttivi e utilitaristici. Non servo per far crescere le persone, ma per aumentare l’efficacia e ottimizzare i risultati. Sa cosa le dico? Preferisco dire bugie, dare la colpa agli altri, andarmi a divertire con Lucignolo e usare tutte le furbizie di questo mondo.
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