09 Gen Leadership dentro: una nuova grammatica del sentire.
Quello passato è stato l’anno in cui ci siamo accorti di essere fragili. Un annus horribilis fatto di solitudine, silenzio, ansia, che ci ha reso da un giorno all’altro più insicuri e più vulnerabili. Forse già sapevamo di esserlo, ma la ricerca dell’adeguatezza alle richieste dell’ambiente e la rincorsa alla prestazione efficace avevano mascherato questa consapevolezza. Ma oggi non dobbiamo imprigionare la nostra anima e chiudere il nostro pensiero.
La fatica nel resistere ci può aiutare a cambiare. Possiamo cambiare rotta e dare un significato a quanto stiamo vivendo. Questo spazio di sospensione ci può servire per dedicare una diversa attenzione a noi stessi, una diversa cura (la “cura” di Franco Battiato).
Il mondo sportivo ci può essere d’aiuto: se il coaching ha migliorato e reso efficace la leadership, lo stretching può valorizzare la nostra leadership personale. To stretch ha il significato di allargare, allungare, allungarsi, tirare, forzare, sforzarsi, adoperarsi… e, a seconda dei dizionari consultati, possiamo trovare accezioni diverse che confermano comunque il concetto base della estensione.
2021: un po’ di stretching per la nostra leadership.
Quando si parla di stretching il pensiero va all’esercizio fisico, a un allenamento svolto, ma la parola è anche metafora potente, che rimanda all’idea di estensione, di crescita continua, di tensione al proprio miglioramento, a quell’“allungarsi un po’ di più” per stare meglio con il corpo e con la mente.
Ed ecco che stretching diventa attenzione, cura rivolta a sé stessi in un momento in cui la scala dei valori sembra essere cambiata, come quello della pandemia che stiamo vivendo. Anche per la leadership abbiamo bisogno di partire da noi stessi, dai valori, poiché la leadership personale (self leadership) è la base principale per la leadership sugli altri. Poi vengono le altre funzioni:
- dare la visione,
- motivare,
- fare coaching, fare engagement,
- essere produttivi, generativi, trasformazionali, situazionali.
Possiamo trovare tante funzioni della leadership per quante sono le persone – e sono tante – che provano a dare una definizione ed un orientamento della stessa. Ma prima bisogna partire da sé stessi.
Partire da sé stessi.
Soprattutto per l’incertezza della nostra epoca, che corre il rischio di atrofizzare la nostra possibilità di scelta e di renderci spettatori di una vita che non appartiene a noi. O di farci trovare su un treno sbagliato o, vista la velocità richiesta dal nostro tempo, di farci sentire sempre in ritardo. Noi aumentiamo la velocità delle nostre risposte ma continuiamo ad accumulare ritardo. Ci sentiamo sempre accesi, always on, e il milione di App che utilizziamo per alleggerire la nostra tensione non fa che ingaggiarci ulteriormente.
Una efficienza compulsiva che è diventata uno dei tratti della nostra psicologia. Chi non prova fastidio a non avere una risposta immediata a un Whatsapp o a una mail inviata? Eppure, come dice un racconto africano, noi vogliamo “fermarci, non lasciare indietro la nostra anima e far sì che ci raggiunga”. Abbiamo la necessità di una sosta ai box, di dare spazio a un pensiero che non è quello ossessivo del “sono in ritardo” ma quello che consente di lasciare la propria impronta.
Fermarsi a riflettere è necessario per governare e non subire la realtà che stiamo vivendo, dominata non solo dal cambiamento ma dall’assoluta mancanza di prevedibilità degli accadimenti, dalla confusione organizzativa, dalla opacità e da un potenziale di fraintendimenti.
VIVI in questo scenario: la self leadership.
Gli esperti, i cosiddetti esperti, chiamano questo scenario VUCA: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity. Un acronimo, una parola fredda, indisponente, che respinge ma che rappresenta l’ambiente volatile, incerto, complesso, ambiguo che dobbiamo affrontare, e che invoca un ripensamento delle strategie e delle pratiche manageriali.
Più appropriate, invece, le dimensioni VIVI esplorate da HXO, che sanno anche tener conto dell’emergenza che stiamo vivendo: Vulnerabilità, Isolamento, Volatilità, Inadeguatezza, dimensioni che hanno come sfondo la managerialità ma sono soprattutto orientate alla gestione della leadership.
Spazi di una riflessione non orientati al mondo esterno ma rivolti alla persona, alle sue difficoltà: il confronto continuo con gli eventi inattesi, il difficile equilibrio tra sé stessi e gli altri, la scoperta del valore effimero delle certezze, la perdita della padronanza. Non “tecniche” di gestione, quindi, non caratteristiche “esterne” di leadership. Servono anche quelle, ma servono soprattutto capacità introspettiva, riflessione e la decisione di crescere come persona e forgiarsi con le proprie forze.
La self leadership viene prima della leadership sugli altri. È una sfida con sé stessi che richiede volontà e coraggio perché chiama in causa principi come etica, responsabilità, consapevolezza. Un lavoro duro, che richiede di raccogliere le forze e andare senza lasciarsi frenare dalle pareti confortevoli che ci circondano: superare e superarsi.
Leadership e humanities: una nuova grammatica del sentire.
La direzione su cui può svolgersi questa riflessione è quella di una leadership basata sulle humanities, che vuol dire:
- mantenere nel cambiamento la propria identità,
- sviluppare progettualità e senso del futuro,
- alimentare la capacità di costruire relazioni autentiche.
Identità come attenzione alla persona, come capacità di accogliere le sue debolezze, la parte più autentica del vivere non plasmata dalle “opportunità” o piegata dalle “minacce” del mondo esterno.
Progettualità come convinzione di essere artefici della propria storia, di costruire possibilità, di saper attingere a una pensabilità positiva e generare risorse personali.
Relazioni autentiche fondate non sulle tecniche di comunicazione efficace ma sull’ascolto, sul dialogo, sulla reciprocità, sulla interdipendenza che arricchisce il valore delle differenze.
Le humanities danno spazio all’espressione delle nostre manifestazioni affettive, alla partecipazione e alla risonanza emotiva, ai contenuti etici del nostro io interiore. Soprattutto in questo momento, in cui ci si sente (erroneamente) confortati da una comunicazione sempre più pervasiva e si rischia di confondersi e perdersi, affascinati dalla tecnologia mentre si vive nello smarrimento indotto dalla pandemia.
Oggi possiamo contare solo sulla interiorità della persona che, pur con le sue debolezze, può assumere impegni utili a dare forma alle aspirazioni. Può esprimere desideri, esporsi al rischio della speranza per il futuro e costruire senso e consenso (cum-sentire) in un rapporto interpersonale onesto e non compiacente. È un riscoprire l’autenticità che per Heidegger è una “appropriazione” che si raggiunge quanto più si riesce ad essere sé stessi, non lasciandosi trasportare dalle esperienze ma, all’opposto, accogliendole ed elaborandole nella progettualità personale.
È da qui che nascono le linee direttrici per fare un po’ di stretching per la propria leadership e mantenere in forma l’io interiore. Quali sono queste linee e come ci si può allenare, lo scrivo in altri post.
Francesco Tulli
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